appunti

«Un giorno, forse»

Sono alla stazione ed è un giorno qualunque.
Nell’aria c’è qualcosa di surreale, come se stessi sognando, non so, ma io lo ignoro: oggi voglio partire. E’ un giorno qualunque, dicevo, e per questo è un giorno perfetto per intraprendere un viaggio. Di quelli che cambiano la vita. Cammino a passo svelto, facendomi largo tra gli sconosciuti e i loro bagagli, alla ricerca del mio treno. Ignoro l’espresso per Roma. Quello per Milano e anche quello per Parigi. Ignoro persino il treno ‘che passa una sola volta nella vita’. Pazienza, penso. Sarà per la prossima. Infine, proprio quando mi convinco a tornare indietro, la vedo: è una locomotiva a vapore vecchio stile, nera, appena lucidata.

Sbuffa e io sorrido. Mi guardo intorno in cerca di un segno e lo trovo negli occhi di un vecchio capostazione. “E’ il suo treno, ci salga” mi fa l’uomo. Deve avere molta esperienza, suppongo. Mi prendo un minuto per guardarlo meglio e penso che è difficile indovinarne l’età: il suo volto è disteso e rubicondo e mi ricorda un po’ Babbo Natale. Indossa un’impeccabile divisa nera, che gli dà un’aria solenne.  Mi avvicino. “Scusi, dov’è che è diretto, esattamente, questo treno?”
Mi guarda con disappunto, come una maestra che guarda un alunno indisciplinato, ma poi continua, pazientemente: “Questo treno porta in un posto chiamato ‘Un giorno’.”
Devo aver assunto un’espressione vuota, perché subito si affretta ad aggiungere: “E’ quel posto dove finiscono tutte le cose che le persone rimandano, per noia o per pigrizia, non saprei. Ha presente tutti quei caffè rimasti in sospeso? Tutti quei ‘ci vediamo uno di questi giorni’? Dove pensa che vanno a finire tutte le promesse mai assolte?”. Io lo guardo con occhi sbarrati. Deve essere fuori di testa, penso. Ma lui prosegue: “Vede, si tratta di tutte quelle piccole azioni che l’uomo potrebbe portare a compimento: ne ha il tempo e la possibilità. Ed è proprio per questo, perché pensa di aver tutto il tempo del mondo, che continua a rimandarle. ‘Un giorno’ dice. Un giorno riprenderò a suonare. Un giorno tinteggerò il garage di bianco. Un giorno andrò a trovare i miei.
Ma poi passano gli anni, e quel giorno non arriva mai. E così, tutti quei propositi, buoni o cattivi che siano, vengono impacchettati per bene, avvolti nel cellophane e buonanotte. Vengono sistemati in convogli speciali e portati esattamente lì, nel posto chiamato ‘Un giorno’.
Sono i piccoli desideri, quelli forse un po’ inutili, che non ti cambiano la vita, ma che la riempiono: andare in campeggio, pescare con il nonno, ballare sotto la pioggia.
Un abbraccio un po’ più lungo, un ‘ti voglio bene’ mai detto, un sorriso senza motivo. Quel vestito da favola che vedi in vetrina e pensi che dovresti entrare a provarlo e comprarlo senza pensarci due volte e invece resti lì, sul marciapiede, a contemplarlo.
E  ancora, i numeri di telefono scritti sulla carta delle caramelle, i viaggi programmati in ogni dettaglio, le idee che ti solleticano per tutto il giorno… sono tutti qui, in questi scatoloni. E nessuno se ne cura, a dire il vero. Solo che la vita passa. E, un bel giorno tutti si accorgono di non essere immortali. Si rendono conto che non c’è più tutto quel tempo che dicevano di avere in abbondanza. E allora si precipitano qui, in questa stazione e vogliono salire su questo treno. Per alcuni è tardi, per altri no. C’è ancora una possibilità.
Leggo la disperazione nei loro volti, l’amarezza, il rimpianto. E mi dispiace per loro, ma la verità è che quell’orologio che vedi lì in alto, non fa eccezioni, per nessuno”.
Io pendo dalle sue labbra e, nel frattempo, passo in rassegna tutto ciò che avrei voluto fare nella mia vita, nei giorni qualunque, come questo. E improvvisamente mi accorgo del loro valore.
“Non voglio perdere quel treno” gli dico, ma lui è già sparito.
La locomotiva sbuffa di nuovo e emette un fischio. E’ ora di salire.
Ma esito e, in quel preziosissimo attimo di esitazione, il treno parte, senza di me. E’ già lontano, ormai.
E allora sbuffo anch’io, chiudo gli occhi e mi prometto: ‘Ci salirò. Un giorno.’

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