appunti

Memorie di un’assistente (Roma e un hotel a cinque stelle)

roma

Mercoledì mattina. Il traffico di Napoli e un borsone sulle spalle e Miranda che chiama e una lista di cose da fare certamente più lunga del primo caffè della giornata.
E questa sono io versione Andrea Sachs a.C. (ovvero prima di Chanel).
La stessa – più o meno – che si è svegliata il giorno dopo nella 110 di un albergo, con la colazione servita in camera e con le più che lecite domande di quando ci si sveglia in un letto nuovo: “Dove sono? Come ci sono arrivata?”

Quella mattina ero a Roma. Ero a Roma e ci ero arrivata per lavoro – ma forse anche per amore, perché quelle come me non fanno troppa distinzione tra le due cose.
Ero a Roma, ma principalmente ero esattamente dove volevo essere. Avvolta in un morbido asciugamano bianco a sorseggiare un cappuccino. Distratta ma solo apparentemente. Soddisfatta della serata e ancora assonnata per il post-serata passato a chiacchierare con Monia. Sognatrice e viaggiatrice, entrambe le cose senza limiti.
In una camera d’albergo a fare mentalmente la lista che tra tutte le liste è quella che preferisco: quella delle cose da mettere in valigia di ritorno da un viaggio.
Che sarò anche una che semina effetti personali in giro per il mondo – un paio d’occhiali nella cabina doccia, ad esempio – ma certe cose no, le porto con me.
Lo spazzolino.
Le risate soffocate delle 3 di notte.
Via Vittorio Veneto da percorrere con i tacchi alti e il naso all’insù a contare le stelle che se non sono quelle del firmamento sono quelle degli hotel con i pavimenti lucidati e i lampadari di cristallo dove ambienterei tutti i gala e i post gala che una cenerentola contemporanea possa concepire.
Il rossetto rosso, da passare e ripassare all’occorrenza.
Le strette di mano. Qualche complimento.
I caffè (del nonno e col nonno, di qualcuno certamente).
Roma da vedere dai finestrini di un’auto al semaforo rosso, ma pur sempre Roma: bella, calda e barocca.
Giulia da abbracciare e subito ri-abbracciare alla stazione, con la promessa di rivedersi presto, in un’altra stazione magari.

Ci metto dentro tutto. I pomeriggi passati a pianificare, organizzare, mandare mail, telefonare, rispondere, non rispondere. Le pagine di agenda dove se non puoi trovare il tempo allora lo devi inventare.
Ci metto anche gli occhi stralunati di due bambine che ti guardano mentre ti passi il mascara nel bagno di un pub di giovedì sera e io che vorrei dire a quelle due: arriverà il giorno in cui passerete quattordici ore fuori casa e quel giorno saprete che finché ci sarà un mascara nella borsa e la voglia di viverla fino all’ultimo minuto questa vita, voi tornerete a casa stanche, stremate, disfatte ma ci tornerete felici.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.