appunti

Ode all’errore grammaticale

5 anni liceo classico e 1 laurea in Lettere Moderne e meno3esami ad una specialistica in Filologia Romanza e innumerevoli pagine lette e articoli scritti e temi e letterine a Babbo Natale e lettere ai miei cari e cartoline e messaggi kilometrici su Whatsapp e saggi più o meno brevi e traduzioni da lingue morte o forse più vive di noi e qualche libro nel cassetto – proprio lì, al posto dei sogni.
E sì, io faccio errori.

Qualche tempo fa ricevetti un commento – peraltro parecchio arrogante – su questo blog, in cui mi si faceva notare di aver fatto un errore: scrivere “sé stessi” al posto di “se stessi”.  Sulle prime mi sentii profondamente mortificata nell’orgoglio di esperta delle lettere quale credevo di essere – e cancellai il commento. Poi, da amante delle lettere quale sono, decisi di approfondire. Così mi imbattei in un dibattito tra linguisti e scoprii che c’erano pareri discordanti a riguardo: c’era chi riteneva l’accento superfluo in quanto ci pensava “stessi” a distinguere il pronome personale “sé” dalla congiunzione “se”; c’era chi invece parteggiava per il “sé stessi” in quanto conforme alla regola che vuole il pronome personale “sé” accentato con funzione disambiguante.

Ecco, in quel momento mi resi conto che se c’era una cosa che avevo imparato frequentando l’Università – e certi professori -, era che le regole grammaticali sono tali solo perché la comunicazione tra i parlanti sia più chiara e funzionale (e anche bella, se vogliamo) possibile. Che non bisogna pensare alla lingua come qualcosa di fisso, di dato, di immobile e di immutabile perché la lingua siamo noi: con le nostre esigenze, i nostri cambiamenti, la nostra stessa vita che non è mai uguale ma sempre fedele a sé stessa (ecco, appunto: sé stessa).

Alla cultura vera che non ha niente a che vedere con l’arroganza.
Ad una lingua che più “studio” e più metto, ogni giorno, in discussione.
Agli errori che facciamo: perché dicono chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando.

Ode all’errore grammaticale: perché l’unico errore è considerarlo tale.

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