appunti

I sì e i no che ho detto (e quelli che dovrei imparare a dire)

 

Una delle prime cose che impariamo a fare, per ragioni di sopravvivenza, è dire sì e no. All’inizio è facile: sì per dire mi piace, no per dire non mi piace.

Col tempo facciamo i conti col fatto che non sempre possiamo evitare tutto quello che non ci piace ed ecco che alcuni dei nostri no sono costretti a travestirsi da sì: sì, certo che ti faccio un favore. Sì, ti accompagno in capo al mondo. Sì, sono disposta a fare gavetta. Pure questa è sopravvivenza, certo.

Però poi arriva un altro momento della vita – quello della presa di coscienza di ciò che si è e di ciò che invece non si vuole essere -, in cui dobbiamo imparare di nuovo a dire no: no a chi sta rubando il nostro tempo, no a chi non merita le nostre attenzioni, no a ciò che ci fa male (anche se dice di farci bene). E, qualche volta, anche no alla panna sul gelato.
La differenza rispetto alla prima volta in cui abbiamo imparato a dire no, è che questa volta fa male: c’è un’intima ma inevitabile sofferenza nei nostri occhi quando diciamo certi no, eppure… si tratta (ancora) di sopravvivenza.

Ma quello su cui ultimamente riflettevo – complice un addio al nubilato e un’ agenda piena più che mai ma mai abbastanza – è che, dopotutto, la sottile differenza tra il sopravvivere e il vivere la fanno i sì che decidiamo di dire ogni giorno.

Sì, alle persone che vogliamo nella nostra vita.
Sugar? Yes, please, anche se a chiedercelo non è Adam Levine.
Sì, all’abito che vediamo in vetrina.
Sì, lo voglio.
Sì al viaggio improvvisato.
Sì, ci vediamo dopo il lavoro.
Sì, ad una nuova avventura.
Sì, a questa vita.

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