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Sofia Colasante e quella moda “sapiente”

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Sofia ha un nome che le sta bene, penso mentre la incontro, un sabato pomeriggio in un angolo di Napoli che è diventato il suo showroom temporaneo.
Le sta bene addosso, quella parola d’origine greca, perché la sua è una moda sapiente. Concettuale ma lontana dall’essere concettosa. Dove ogni dettaglio è stato pensato, studiato nel senso appassionato del termine, curato con la cura che si riserva a ciò che si ama fare.

Siamo da Ascione, il regno dei coralli in via Toledo, e più precisamente in piazzetta Matilde Serao. Ci circondano le due collezioni 2016 firmate Sofia Colasante e caratterizzate dalla stessa semplice eleganza della mente che le ha create, delle mani che le ha realizzate, figlie di una formazione scientifica e di un sogno da inseguire in giro per il mondo.
Venticinquenne, originaria di Nocera Inferiore, capelli color nero corvino e una bocca a forma di cuore: Sofia mi racconta tante cose. Di quando le sue nonne le insegnavano a fare i vestitini per le bambole. Di suo padre, che dal Sud ha ereditato il senso di protezione ma che alla fine le ha permesso di partire: per Milano, e per il suo futuro (non pentendosene neanche un po’).
Della triennale alla Marangoni, del corso di marketing a Parigi e del premio “best tecnology concept” per una collezione che ha fatto parlare il mondo della moda per la sua audace sperimentazione.
«Io ho un modo un po’ particolare di creare collezioni. A scuola ti insegnano a fare una ricerca su un tema, da cui elaborare dei capi. Io faccio il contrario: parto da un pezzo, disegno un capo, ispirata da una foto, un taglio, una particolare lavorazione, e poi da lì costruisco tutta la collezione. Con la collezione “Back to the future” è successa la stessa cosa: io avevo in mente di usare il fumo. Feci delle ricerche insieme a dei professori di fisica per cercare un modo e alla fine avemmo l’idea di usare il ghiaccio secco. Dalla gonna a forma di nuvola nacque tutta la collezione: il capo con gli schermi, quello con le fibre ottiche, uno con il meccanismo dei tasselli mobili, uno con i tubi dell’acqua, un altro con una lavorazione in plexiglass. Per realizzarli ho usato perfino i pezzi di una barca.»
Tuttavia, nonostante i premi, l’attenzione della stampa e i riconoscimenti, quella collezione si era rivelata troppo sperimentale per il mercato italiano. A quel punto, un incontro in ascensore che le ha cambiato la vita.
«Ero a Milano per puro caso. Passai alla Marangoni per un saluto ai professori. Nell’ascensore incontrai il direttore generale dell’Istituto che mi fece: “E tu che ci fai qui?”. In quel momento scoprii che mi aveva offerto una borsa di studio per un master a Londra. Così sono partita per Londra, dove ho avuto l’onore di lavorare per Hussein Chalayan, il mio stilista cardine per la concettualità con cui lavora. Ero assistente del manager per la produzione: un ambito che mi ha affascinato profondamente. In seguito, ho lavorato per Erdem nello sviluppo del prodotto, l’ambito in cui mi trovo più a mio agio. Mi piace realizzare personalmente i pezzi, trovare la soluzione per far cadere un capo nel modo giusto, anche a costo di fare e rifare le cose cento volte finché non riescono come sono nella mia testa. Quelle a Londra, sono state due esperienze fantastiche: la tentazione di continuare a lavorarvi era forte, ma il sogno di fondare un marchio mio lo era di più. Quindi sono tornata nella mia città e ho deciso di lanciarmi, creando un brand che sogno di distribuire in tutto il mondo.
Così è nata la collezione che ha sfilato questo marzo nelle sale di Ascione e che ho personalmente adorato per la raffinatezza (e per quel pantalone azzurro carta da zucchero – ma questa è un’altra storia).
«Questa collezione, realizzata con sole fibre naturali, ha come ha come elemento il plexiglass, ereditato dalla collezione sperimentale per creare una sorta di equilibrio tra classico e moderno. Come al solito, sono partita dalla lavorazione, creando i primi due pezzi: quello con la lastra in plexiglass e i fiori termoformati e quello con i tagli del doppio collo delle giacche. Da lì ho creato tutto il resto.
A quel punto è stato spontaneo chiederle: a quale di questi pezzi sei più affezionata personalmente?
«Alla giacca bianca con le piume, perché è il giusto mix tra la giacca classica e il gusto per il particolare. E poi perchè secondo me è il capospalla il pezzo che descrive meglio un marchio. E’ quello più lavorato, quello dove c’è più manodopera, quello che richiede una parte modellistica più complessa. Il pezzo che metterei più facilmente invece è la giacca a quadri, più maschile. Da questo punto di vista, io sono molto pratica: maglioncino da uomo e jeans (monocromatico!) è il mio look di tutti i giorni. Per qualche evento speciale però mi piace mettere qualcosa di particolare.
La sfilata da Ascione: perchè proprio qui?
«Ascione perché è un marchio storico, d’eccellenza. Perché non fa solo gioielleria, ma costruisce pezzi su misura, in base alle persone, un po’ quello che inizialmente ho intenzione di fare anch’io. E poi perché mio padre mi portava qui quando avevo 7 anni: da piccolina mi affascinavano tutte quelle cose “strane” che non piacevano agli altri bambini. Le cose classiche, lavorate.»
E mentre l’ascolto penso che quella bambina “strana” è cresciuta, ce l’ho davanti, si chiama Sofia. Sofia che oggi è una stilista, di testa e di cuore.
Sofia che ha un nome che le sta bene.

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