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Alessio Boni, da Dio all’assassino (grazie alla cultura)

Alessio Boni

Mi trovo davanti Alessio Boni – al Galà del Cinema e della Fiction in Campania per il premio speciale “Cinema & Teatro” ndr – e la prima domanda che mi viene in mente è: come si fa la differenza?

Lo chiedo a lui, all’attore che ho visto a teatro, a cinema e nelle fiction e che proprio nel teatro, nel cinema e nella fiction credo abbia saputo fare quella differenza lì. Quella che fa scomparire la poltrona di velluto rosso o il divano di casa su cui sei seduto e ti conduce altrove. In una storia, più o meno paradossale, più o meno vicina alla vita-vera, di cui riesci persino a percepire gli odori e i sapori.
Lo chiedo ad uno i cui personaggi – mi dice toccandosi la pancia – sono tutti qua dentro. Che basta tirarli un po’ fuori e loro ti rispondono (anche se l’assassino – ride – forse è meglio lasciarlo là). Ad uno che ha interpretato persino Dio – anche se quel Dio, mi spiega, era una metafora, un pretesto dell’autore (Schmitt, Il Visitatore ndr) per far dialogare l’ateo – Freud, interpretato da Alessandro Haber – con la fede in un gioco sublime e straordinario sotto la regia di Valerio Binasco.

In risposta alla mia domanda, Alessio Boni parafrasa Goethe: l’arte non esiste senza il talento. E’ vero, il talento è quel materiale grezzo che ti danno. Ma il talento è nullo senza il lavoro.
Lavoro che parte dalla scuola – con la premessa che la scuola non fa l’attore ma quanto meno ti dà la dimensione di cosa puoi fare fuori di essa. Dalla conoscenza dei tragici greci, dalla letteratura, dalla storia del cinema. Lavoro che si concretizza nella pratica. Nella sperimentazione di sé stessi sul palcoscenico o dietro una cinepresa. Nello studiare canto, danza, mimica, mimesica, recitazione teatrale da un buon maestro. Lavoro che significa sprecare energie. Esserci. E poi prendere la propria strada.

La sua, di strada, l’ha portato a ricevere un premio speciale, quello di Cinema & Teatro, nell’ambito di un festival che – mi dice –  soprattutto in Campania, e in una location straordinaria come il Castello Medievale di Castellammare di Stabia, è importante perché la gente deve venire, deve conoscere, deve sapere che non è solo paglietta, non è solo esibizionismo, non è solo un bel vestito, non è solo la pettinatura, non è solo un bell’occhio: dopo c’è tutt’altro, tutto il resto. A quel punto non ho potuto fare a meno di chiedergli: cos’è tutto il resto?

«Avere la forza, la capacità di elargire la completa nudità dei sentimento umani, avere la curiosità di scoprirsi. La cultura.»

E in questa risposta – ormai lo so – sta la differenza.

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